Talento, ingegno, creatività, un nome solo: Lamont Young

30.12.2014 19:40

Napoli tra la fine del XIX e i primi anni del XX secolo, fu oggetto di un enorme piano di riqualificazione urbana. In molti casi poté godere della fantasia e dell’estro di architetti, ingegneri e progettisti che contribuirono a rendere celebre il Liberty napoletano e ad abbellire la città con piccoli capolavori di art nouveau, neogotici od eclettici. Fra tutte le personalità di spicco che hanno percorso i vicoli della città, spicca Lamont Young, rilevante esponente partenopeo dell’eclettismo, nonostante il nome anglofano, ereditato dal padre scozzese, è stato un architetto e un ingegnere urbanista del quale vi sono evidenti tracce, qualcuna sotto gli occhi di tutti, qualcun’altra più nascosta. Nato a Napoli il 12 marzo 1851 e morto nella stessa città nel 1929, anno della grande depressione economica, progettò delle vere e proprie opere d’arte come la sede del Grenoble, il castello Aselmeyer (parco Grifeo) e villa Ebe, ma soprattutto, fu autore di un ardito progetto della prima metropolitana di Napoli; esempio di tale opera è oggi presente nella stazione metropolitana del Policlinico.

Lo stile di Young era fortemente napoletano progressista, ma non fu ritenuto conforme a quello della città e ciò gli causò aspre critiche e forti opposizioni, considerata l’epoca in cui è vissuto e le idee che ha accarezzato, umiliate da un contesto napoletano che dopo l’unità d’Italia perdeva traumaticamente centralità e importanza. Non è l’architetto a stupire, almeno non quanto l’urbanista, talmente fervido da partorire progetti innovativi e pionieristici.

La sua idea di Napoli  era molto diversa e per certi versi molto avanti rispetto ai suoi contemporanei e per questo seppe proiettare la città nel futuro. A lui si devono i primi progetti ottocenteschi mai realizzati della metropolitana di Napoli che prevedevano la costruzione di una vera e propria “tangenziale” sotterranea che circondasse la città. La metropolitana avrebbe dovuto servire la città bassa da una capo all’altro della periferia e unire le colline attorno al centro, stante l’impossibilità di creare nuove strade in una città, soffocata da mare e colline. Il progetto prevedeva anche ascensori e scale mobili.

Lamont Young non fu solo questo, fu antesignano dei problemi del secolo successivo anche per la sua convinzione di uno sviluppo sostenibile del turismo che ispirò il “Rione Venezia”, anch’esso rimasto sulla carta: con i materiali di risulta degli scavi della sua metropolitana , l’architetto progettò un nuovo quartiere chiamato appunto “Venezia” che da Santa Lucia, lungo la costa di Posillipo, avrebbe dovuto collegare Napoli con i Campi Flegrei realizzando un canale navigabile anche attraverso delle gallerie, lungo circa due chilometri e costellato di isole divise da altri canali. Utopista, inventore, ingegnere di una Napoli moderna – così recita la lapide all’ingresso della villa – elesse villa Ebe, nota a molti come il castello di Pizzofalcone, come propria dimora ed ivi decise di terminare la propria esistenza terrena, suicidandosi. La villa cambiò nome, da Lamont a Ebe, il nome della moglie, restando della famiglia per poi diventare parte del patrimonio del comune di Napoli. Una della tante leggende napoletane racconta di un’ombra che si aggira inquieta sulla meravigliosa terrazza della villa, la sua origine affonda le radici nell’amore sofferto e non corrisposto di Lamont Young per Napoli, che si è concluso nei più tragici dei modi, con un colpo di pistola alla tempia, proprio su quella terrazza di fronte al mare. La sfortuna di questo grande genio paradossalmente, è quella di essere nato e vissuto in un contesto socio culturale non ancora pronto a comprederne le idee dal carattere così innovativo e acuto, e oggi chi ha la speranza di una Napoli più internazionale non può restare indifferente alla sua utopia, il suo esempio va divulgato e la sua figura ricordata ed echeggiata in tutti i vicoli che egli stesso ha percorso e ha tanto amato. 

Nicola Massaro 

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