NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA NOA canta Napoli: un passaporto per tutte le frontiere

16.07.2012 18:58

 

di Anna Maria Siena Chianese

 

La V edizione del Napoli Teatro Festival Italia si apre con l’attesissimo concerto della cantante israelita-americana dal cuore decisamente mediterraneo, Achinoam Nini, che dal palcoscenico del San Carlo intona il suo canto libero e appassionato in una tensione magica, alleggerita da applausi a scena aperta e dalla diretta partecipazione del pubblico, invitato a far da coro nei refrain di alcune canzoni.

Accompagnata da un raffinato ensemble da camera, il Solis String Quartet, e dal solista chitarrista, maestro e guida del suo percorso artistico, Gil Dor, Noa si inoltra con passo leggero nel sinuoso percorso della musica senza frontiere ma dagli scali obbligati, scali di un comune mare e di un comune golfo ai quali il canto approda in sapienti alternanze con altri lidi. E’ il golfo di un mare in continua attesa di ritorni, artefice di infinite nostalgie che l’artista sembra riconoscere come proprie quando ne dispiega, con melodiosa dolcezza, le parole e le musiche che ne testimoniano nel mondo la ineludibile ancestralità.

Noa canta melodiosamente di questa nostalgia, di partenze e di impossibili ritorni, di cartoline di una città che non esiste più se non nella fantasia di chi, giorno per giorno, tenta di ricostruirne il simulacro perduto. Nella canzone-vessillo della nostalgia, Santa Lucia luntana, la sua voce è la rete d’oro di una sirena che colma con canti abissi di lontananza tra la nave e il piccolo tratto di mare illuminato dalla luna.

Nelle canzoni, scelte secondo un accurato disegno estetico e sociopolitico, inserite come pietre miliari negli interstizi del tempo, ecco l’epifania di un mondo che l’artista sembra voler ricreare comunicandone la basilare sacralità di dono, la ancora possibile godibilità, l’ancora diffuso piacere, la costante sfida dell’avventura, l’inestinguibile, inappagabile desiderio. Gli arrangiamenti audacemente innovativi sottolineano della world music, della quale la cantante si fa ambasciatrice, la cittadinanza senza frontiere: musiche e parole sospese come trapezi luminosi per affascinanti acrobazie tra lingue e ritmi diversi, tra i quali la cantante vola con la padronanza che le viene da profonde radici etniche e culturali. Nel ricco e vario repertorio figurano ben due canzoni di un nostro cantore nazionale, E.A. Mario che, con la Leggenda del Piave (1918), Santa Lucia luntana (1919) e Tammurriata nera (1944), dette voce e suono a tre delle tappe più drammatiche del doloroso e lunghissimo secolo breve: la vittoria della Grande Guerra, la conseguente emigrazione e la resa della popolazione ai drammatici soprusi del secondo dopoguerra che nella famosissima Tammurriata, scritta su una storia vera, vengono sintetizzati nella nascita di un bambino nero, mistero buffo sul quale si intrecciano le ipotesi di coltivatori di grano e di massaie e che si sarebbe svelato subito se l’eroica quindicenne, che volle tenersi il bambino battezzandolo all’istante col nome di un santo protettore, si fosse fatta avanti a riscuotere un lungo e redditizio momento di notorietà.

Noa si fonde con gli strumenti nel dar vita alla Tammurriata, passando dal microfono ai tamburi con la leggerezza e l’ironia che ne tengono sotto controllo il pathos che si libererà, poi, nel finale-preghiera, inarcandosi in un’Ave Maria che vuol riunire, ancora una volta, tutti nello stesso bisogno di verità e di sacro.

Un concerto, uno spettacolo musicale con un’eccezionale interprete e con particolare preponderanza delle canzoni napoletane: questa potrebbe essere, in sintesi, la descrizione della serata, indipendentemente dalla sua protagonista che, da sola, merita pagine di note. Ma a Napoli, ancor più peregrino e straordinario della partecipazione della star, è stato il contenuto del concerto che sarebbe stato ovvio in ogni altrove: quelle canzoni che ci si ostina a definire napoletane, mentre sono di ogni angolo di mondo tranne che di Napoli, dove non hanno fissa dimora: piccole palomme di versi e musiche che a Napoli il vento capriccioso di un malinteso intellettualismo e di un’ignoranza imperdonabile disperde, destinate a restar patrimonio di una generazione in via d’estinzione senza che i giovani sappiamo nemmeno lontanamente dell’entità di quanto viene sottratto ai loro diritti di eredi.

Consentiamoci una deviazione alla quale, del resto, ci induce lo splendido concerto d’apertura del Festival, e spostiamoci ad un giorno di giugno del 1950 in cui il direttore del Mattino, Giovanni Ansaldo, ebbe una lunga lettera della quale riportiamo un breve brano: “… occorre che il Comune faccia per la Canzone di Napoli quello che nessun privato può fare,(…) tenendo presente che una tradizione come la nostra può equivalere alle potenzialità delle zone dai sottosuoli ricchissimi che rendono pregiate le regioni che ne godono il possesso. E se un sindaco milanese avrebbe fatto della Napoli della Canzone un’allegra Salisburgo, un sindaco bolognese farebbe della Napoli piedigrottesca un’emula di Nizza. Ecco perché io dissi che, in sede turistica, Piedigrotta potrebbe dare al disgraziatissimo bilancio del Comune quello che il Casinò dà a San Remo.” Firmata: E.A. Mario.

La lettera, quanto mai attuale, passa da Ansaldo al Sindaco di Napoli senza dar risposte. Nello stesso anno, E.A. Mario organizza una sua personale Piedigrotta, una Piedigrotta ncielo dove autori ed esecutori sono i grandi protagonisti, già allora scomparsi, della nostra canzone.

Nel permetterci di girare oggi, a nostra volta, a chi di competenza e di dovere la lettera di E.A. Mario datata 1950 (chissà che non arrivi, la Posta nazionale fa di questi e d’altri miracoli), ci sentiamo di precisare che l’eventuale resurrezione di una eventuale Piedigrotta dovrebbe, innanzi tutto, prendere velocemente le distanze da tutto quanto negli ultimi anni si è raffazzonato sotto questo improprio titolo. Di una nuova Piedigrotta il modello andrebbe ricomposto, faticosamente, amorosamente, sapientemente ma non velleitariamente, sulla base di esperienze passate ma soprattutto sulla attuale, vivissima creatività dei nostri giovani musicisti, compositori, cantanti costretti ad esibirsi in strutture aliene da ogni potenzialità di sviluppo e di notorietà. Non è certo nelle stantie interpretazioni dei soliti noti, chiusi nel loro microscopico mondo tra collina e mare che la nostra alata Canzone, senza patria ma che appartiene a tutte come tutte le appartengono, può riconfermare la sua internazionalità e divenire volano di un evento in grado di portare nelle casse del Comune, disastrate oggi come allora, un gettito pari, e superiore, a quello che l’ingrata Salisburgo riceve quotidianamente dal divino Mozart, che ncielo continua a comporre la sua musica per gli angeli.

Un grazie a Noa che ha reso percettibile l’universalità delle nostre canzoni, pagine antiche ma non scadute, in possesso di un perenne passaporto per tutte le frontiere.

 

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