NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA ‘E feste a mmare

16.07.2012 19:03

 

di Anna Maria Siena Chianese

 

Al di là del livello contenutistico e formale degli spettacoli del Napoli Teatro Festival Italia, è da sottolineare il contributo di molti di essi alla scoperta della città da parte dei suoi stessi abitanti. Napoli è una città che conserva, nelle strade del suo cuore antico, anfratti segreti, dove le tracce di una millenaria cultura fanno da filo conduttore alla sua lunga storia di Capitale. Regge, palazzi e ville edificate per i sovrani e la nobiltà dai grandi architetti del tempo, così come l’impianto ippodameo dei suoi vicoli che ne testimoniano l’origine di polis serbano tuttora nascosti, tra i vari scempi di tutta la seconda metà del secolo scorso e che tuttora continuano, la loro inequivocabile identità. Teatri antichi nelle viscere della città e sul mare, minuscole spiagge nascoste tra le insenature della costa vengono per qualche sera di questa grande festa del teatro restituiti alla loro antica funzione per venir poi, subito dopo, fatti ripiombare nei loro millenari sonni.

Bisogna tuttavia non intristirsi per il loro effimero, ma cogliere quanto vi è di positivo in queste serate, delle quali quella dedicata alle Feste a mare è forse una delle più affascinanti. Attingendo episodi, caratteri e canzoni da Napoli in frac, Festa di Piedigrotta, Santa Lucia Nova, Porta Capuana, Piazza Ferrovia e da ‘E feste a mmare di Viviani, la regista Antonella Monetti ci presenta uno squarcio della storia e della società della Napoli del tempo quasi per confrontarne la compatibilità, o meglio l’attualità, col presente.

Lo spunto è preso da Napoli in Frac dove l’avvocato napoletano Torre, egregiamente interpretato da Antonello Cossia, conduce l’ospite bolognese, (il bravo Dario De Falco) ad una visita guidata: le Feste a mmare sono l’iniziazione alla bellezza della città, ma anche a quanto in controluce si legge delle sue condizioni sociali, dei suoi scontenti per le promesse mai mantenute, della consapevolezza di un immobilismo che ne vorrebbe frustrare l’indomita speranza di redenzione da uno status incompatibile con il suo rango storico e culturale. Sotto lo splendore del paesaggio, l’ironico istrionismo degli attori, l’accoramento appassionato delle canzoni d’amore, l’humour talora frizzante, talora scontato di certe battute scorre la vena amara che trasforma in pianto il sorriso e che si diluisce, per una sera, nell’apparato gioioso della festa.

La polemica presente nell’opera vivianea, che in diversi momenti contagia lo spettatore, sottende alla festosità delle musiche e delle scene: i personaggi che si alternano sul palcoscenico si portano dentro, sotto l’apparente allegria, le dolorose esperienze di una vita difficile che un’errata politica contribuisce a peggiorare e che la regia di queste Feste a mmare sembra voler attualizzare. Pure, ci sembra che gli errori del Risanamento del tempo automaticamente si relativizzino alla luce della nostra contemporaneità: perchè il bene che un Risanamento sanamente concepito poteva fare alla Napoli degli inizi del Novecento non è certo confrontabile con quello che un risanamento cosciente e responsabile della costa che dal Capo di Posillipo si inoltra verso la zona flegrea, anch’essa sciaguratamente abbandonata, avrebbe potuto fare a tutta la città e all’intera regione.

Non si può, nella inerte, immobile Bagnoli del 2012, deprecare il Risanamento e i suoi danni, dinanzi a questo incantevole Molo Cappellini che resterà del tutto ignoto a tutti i Napoletani, tranne che ai pochi che hanno avuto la fortuna di scoprirne, in queste serate, la piccola spiaggia lunata dove giungono come in un sogno le barche parate a festa delle canzoni. Non si possono continuare a deprecare gli errori passati senza pensare alla ricchezza di creatività, d’arte, di cultura che, ogni giorno, un’insana concezione della governance di ogni livello e colore, sia essa politica, economica, finanziaria, civile, culturale, butta nella pattumiera dove marcisce il nostro futuro, ben più colma dell’altra che eternamente ci minaccia: ricchezza che appartiene al mondo, se bellezza e bene sono ancora chiamati a farne da elementi costitutivi. Questa luna che il faro porta a cullarsi nell’onda mentre dal mare si avvicinano le voci e i suoni sembra voler fermare la deriva della nostre speranze col suo argento luminoso, cantato cento anni fa da un Poeta che invitava la città a svegliarsi dallo stesso, lunghissimo sonno.

Che altro dire: i costoni di Nisida e di Posillipo, la piccola scogliera che si inoltra nell’acqua, la tenera sabbia del bagnasciuga, il nuotare delle alghe nell’acqua cristallina e la luna, la bella luna che languidamente danza a fior d’acqua, fanno da pretesti e da complici alle intelligenti soluzioni scenografiche dello spettacolo: forse un piccolo taglio avrebbe giovato alla reiterante messa in scena di una guapparia ormai di maniera perché inattuale, con la sua intransigente etica, mentre in questa festa attualissimi sono canzoni e suoni perchè nati dalla incantata bellezza che ancora ci circonda e da quella passione intrisa della nostalgia di una costante perdita che da tutto ciò, ora come allora, ci proviene.

Bravi tutti gli attori, poliedrici interpreti di più ruoli; il presentatore Gianni Simioli, i musicisti che hanno dato vita agli intelligenti arrangiamenti di Riccardo Veno; encomiabili gli organizzatori, commoventi nella loro agile versatilità i ragazzi di Nisida: Antonio, Dragana, Luca, Mario, Raffaele, Roberto ai quali auguriamo di presentarsi al più presto, e con successo, col loro nome intero alla ribalta della vita; incantevole Antonella Monetti.

Non possiamo che sperare che gli organi pubblici addetti alla custodia e alla promozione della bellezza e della memoria della nostra città abbiano ricevuto, nell’assistere a questo spettacolo, (peraltro frainteso, forse, da parte della critica), lo stimolo necessario ad ampliare e diffondere la conoscenza e l’uso dei nostri tesori nascosti. Limitarsi a togliere, talvolta per eccesso di cura, dai bar della nostra città i gazebo, fonti di reddito e di animazione turistica che costellano i marciapiedi e le piazze di tutte le grandi e piccole città civili del mondo contribuendo, così, ad incidere pesantemente sulla già difficilissima situazione economica cittadina, contrasta con l’incuria nel quale vengono lasciate le nostre potenziali fonti di reddito e di promozione civile e culturale della città, della Regione e dell’intero Paese: chiese e palazzi storici cadenti, spiagge, coste, tratti di mare e cento altri tesori restano in attesa che qualche anima caritatevole li adotti e se ne appropri o che qualcosa, sia essa il mare o il sole o la pioggia con la loro lenta, ma sicura azione erosiva, finisca di consumarle, mentre quanti avrebbero la competenza e il dovere di sovrintendervi sembrano lasciare a qualche episodico evento la cura di diffonderne quel tanto d’anima e di spirito che ancora, misteriosamente, miracolosamente vi sopravvive.

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