La poesia di Maria Messina Gallo: inno alla vita e sublimazione del dolore

18.06.2014 18:24

Talvolta accade che qualcosa venga a interrompere la continuità tra il passato con le sue esperienze e il futuro con le sue mete, frammentando la totalità dove la vita concentra i suoi significati. Ecco scattare, immediato, il bisogno di afferrarli, questi frammenti dispersi: strumento privilegiato è, per chi lo possiede, la parola scritta che ritesse la rete identitaria del ricongiungimento tra i tempi della vita, indispensabile alla sua essenza come alla sua continuità.

È’ quanto accade alla poetessa e scrittrice Maria Messina il cui mondo si frantuma nella sua piena vita di donna con una deflagrazione dolorosa. Per evitare che con esso si smarrisca la parte più fragile e cara di sé, suo figlio Carmelo, Maria raccoglie i frammenti della sua vita con la scrittura, con la parola, pensiero e bellezza contro la forza annientante del dolore. Per consentire al passato di fluire nel presente, Maria incide sul suo disco a 78 giri il tempo della sua giovinezza, offrendo al figlio l’anima di una città perduta, ma che tuttora avverte vividamente, fisicamente nella sua stessa essenza: le voci dei venditori che si levavano nell’aria tersa delle mattinate estive, le canzoni, i richiami risonanti nei vasti cortili del centro antico, l’aria le luci e i colori dei suoi ricordi, scelti e raccolti come attimi di nostalgia pungenti come lacrime.

Ecco la guerra, il rifugio del Teatro Trianon trasformato in salotto dalle conversazioni paterne, il paese dove il ‘vento di guerra’ ha spinto la famiglia a rifugiarsi, Sassinoro, che sta ai ricordi napoletani di Maria come la madaleine dell’infanzia sta all’opera di Proust.

La fontana del paese a sette zampilli si intarsia nella memoria con i simboli del cambiamento di un mondo, siano essi ballo, moneta, passatempo, musica, il Boogie-Woogie come il Chewing-gum, le Am-lire come i motivi di Rosamunda e di Serenata a Vallechiara: e chi queste cose le ha vissute nell’infanzia ne sa bene la forza evocatrice del passato, più immediata e veritiera di una fotografia d’epoca.

Accettiamo dunque l’accattivante invito dell’autrice a tuffarci in un tempo non contaminato da una falsa idealizzazione, ma evocato come una melodia delle cose perdute modulata sull’innocente felicità dei sentimenti. I ricordi di quegli anni si concentrano nella poesia che dà il titolo a uno dei libri della nostra autrice: La nevicata del ’56, una nevicata che la sua peculiarità trasforma in una specie di miracolo. Quella neve-manna, Maria la coglie sospesa nell’atmosfera con la sua freschezza candida che ancora la ristora, con la sua luce pallida di stella senza tramonto. Quasi  temendo di lasciare le sicurezze delle lontane stagioni, eterne primavere, per inoltrarsi nei percorsi insidiosi della sua piena maturità di donna e di madre, l’autrice si aggrappa alla sua città dell’infanzia, tornata ‘felice’ dopo la guerra con i suoi suoni, le sue passeggiate, le sue vigilie natalizie,  la sua‘inconsapevolezza misericordiosa degli anni verdi’ma poi, sulla scansione musicale dei versi, ci invita ad entrare ‘nella vita del figlio Carmelo, condizionato in maniera devastante da un quid rimasto sconosciuto.

Nell’ininterrotta ninna-nanna che ella gli ha cantato dalla nascita fino all’addormentarsi del suo ragazzo nel sonno precoce, la scrittrice si rivolge al figlio come ad ‘una piccola emanazione di Dio’, ed è proprio la possibilità di usare le parole come viatico e come carezze che le fa riconoscere che è stata solo la scrittura a salvarla dalla follia, come fu Dio a suggerirle di esternare quel grumo di dolore ‘scrivendo i pensieri che le rendevano impossibile la vita. E allora, se la bellezza è componente vitale dell’essenza più intima della madre, eccola offrirne a piene mani al figlio, eccola rivolgersi a lui con parole che parlano di profumi e di fiori, di favole notturne e di feste dove il dolore ci cela sotto la radiosa speranza di risveglio che non l’ha mai lasciata.

Ella dà al figlio, tramite la scrittura, gli anni assolati della sua giovinezza in sostituzione di quelli che la vita gli ha negato. Ciò che l’accora non è solo l’erodersi quotidiano della vita di Carmelo, quanto la consapevolezza che ogni giorno gli sono sottratte le cose che sono state per lei il vessillo della gioia: mare, fiori, stelle, compagni di giochi, l’amore e i sorrisi e che hanno reso la sua vita di prima una radiosa avventura.

Chi ha rubato il sonno ai tuoi occhi?/ Chi ti ha tolto di godere il silenzio della sera,/ di guardare l’infinito cielo stellato,/ bambino mio?/ Che ne sai tu del colore,/ del sapore salato dell’acqua di mare,/ chi ha rubato dai tuoi occhi, dal tuo cuore/ il colore, il profumo dei fiori,/ perché non ti è stato dato di conoscere /il sorriso di tua madre contenta,/ bambino mio?

Nelle poesie di Maria Messina torna insistente il rammarico per i doni che la vita, così generosa con la sua giovinezza, ha negato a suo figlio. Lui ’non ha goduto albe e tramonti’, non ha avuto ‘spazio sulla terra, né famiglia’, chiede solo giocattoli, come un bambino, lui ‘ha il cuore puro, questo ‘giovane, bello, col fisico da atleta’, ma ogni tanto ‘un’ombra gl’incupisce il volto, un sipario gli scende sul cuore’, e il timore che il figlio percepisca che ‘le più belle pagine, le spensierate, le gioiose pagine del libro della vita gli sono state strappate’ strazia la madre ancor più della stessa malattia: la madre che osserva il suo ragazzo ignorandone i pensieri, ignorando anche se esistono, i pensieri.

A questo ‘tenero piccolo albero mai fiorito’ che ha piantato e curato vanamente con tanto amore, Maria si rivolge con ben altre parole dopo il definitivo addio. Lo vede imparare a parlare, vivere finalmente le albe e i tramonti che lei gli ha descritto, la luce delle stelle, la divina bellezza del mondo: quanto ha sorretto la madre, una donna nata per la gioia, in questi lunghi e dolorosi anni.

La bellezza e l’armonia dell’universo, dalla foglia di un fiore ad un’alba sul mare, ora aspetta suo figlio, nella terra promessa alla quale ella lo introduce: ‘Avrai un sentiero ampio, non più stretto e accidentato, per correre e camminare, avrai il giusto riconoscimento della tua dignità, ragazzo mio. Non più raffiche di vento, non più temporali, ma una pioggia d’amore. Hai la mia parola che così sarà, è una promessa mantenuta con l’aiuto di Dio, e lo prometto!.Vai, vola in fretta, nella realtà del mio sogno, nella vera vita. Ragazzo mio.’

Anna Maria Siena Chianese

 

(I brani delle poesie sono stati tratti da testi di Maria Messina Gallo, Na vita maltrattata e La Nevicata d

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